Da Verona alla Cina, l'altalena per disabili e' un business giovane

VERONA. È finita in parchi giochi, poesie, racconti, film. Raramente, però, era entrata in una fiera come Reatech dove trovi quasi tutto quel che può abbattere le barriere. Provateci: la prima parola è «altalena», la seconda «disabili». Chi lanciasse l’osso a un qualsiasi motore di ricerca otterrebbe indietro meno risultati di quel che si aspetterebbe, e per la maggior parte recenti. A volte essere in pochi aiuta a farsi notare e due ragazzi veronesi hanno fatto drizzare le antenne al governo cinese, che a dicembre ospiterà la loro «Altalena senza barriere» all’edizione orientale di Reatech: siete bravi, bell’idea, venite a esporla? Si chiamano Davide Tumicelli e Filippo Pivetta, 24 e 30 anni, il primo è di Villafranca e studia Scienze della Comunicazione, il secondo vive in città e fa l’ingegnere nello studio del padre. Sono giovani e di questi tempi molte sere finiscono in elucubrazioni.

«Si ragionava sulla crisi, su cosa si potesse fare - racconta Davide -. C’è un gran parlare di "inclusione delle persone con disabilità" e mi è venuta quest’idea: prendere un’altalena normale e renderla accessibile ai disabili. Volevamo "partire", insomma, ed era bello farlo con qualcosa che avesse impatto sociale: se un Comune inserisce quest’altalena nel suo parco giochi poi deve per forza rendere accessibile l’intera zona alle carrozzine. Un effetto positivo a catena». Prima s’è sondato il terreno. Poi, capito che si poteva andare sul mercato, è nata la ditta. E l’investimento, con i soldi messi da parte. «I modelli di altalene che vedevo su internet avevano un problema, dovevi prendere in braccio la persona e metterla sul seggiolino speciale: ci voleva sempre qualcuno, quindi non si abbattevano le barriere». Quella che produrrà la loro azienda - fondata a settembre e denominata GiocAssieme - è diversa: «Non serve aiuto esterno perché il prototipo vuol rispondere a questa domanda: come può una semplice carrozzina salirci sopra senza essere smontata? Ci abbiamo messo 9 mesi tra calcoli, autorizzazioni e certificazioni». La pedana, i telai laterali, il traverso di sospensione. «Una struttura imponente, in acciaio, pesa 500 chili, difficile da manomettere e da rompere».

È bastato mostrarla, per la prima volta, al Reatech di Milano, un mese fa. «È lì che ci hanno classificati fra le novità del 2013. È lì che sono arrivati i primi interessamenti da alberghi, fondazioni private, colonie estive. Ed è lì che abbiamo attirato l’attenzione della Cina. Tanto che adesso c’è chi profetizza che andremo a produrre tutto là». Chiamale se vuoi tentazioni? Macché. «Tutto made in Italy, anzi made in Verona. L’azienda che ci segue è di Montecchia di Crosara, loro acquistano l’acciaio da un rivenditore di Valeggio sul Mincio, alla coloratura ci pensa una ditta della città. Produrre in Cina significherebbe perdere la qualità della struttura, ch’è testata per tutte le carrozzine e passeggini. Vendere là, invece, è fattibilissimo: la merce arriva a Pechino in 35 giorni, la spedizione andrebbe a incidere sui 150-200 euro ad altalena, non di più».

Due modelli, l’altalena singola costa 3.900 euro, quella doppia 4.300 euro: doppia significa che la possono usare insieme disabili e non. «Non sono prezzi alti, per il mercato. E Francesca Porcellato, la campionessa paralimpica nostra testimonial, ci ha sempre detto che anche gli adulti avrebbero apprezzato. In effetti in Fiera l’hanno provata pure dei signori che in vita loro, purtroppo, non avevano mai potuto salirci sopra: erano felici». Ricapitoliamo: l’idea, il prototipo, Milano e la Cina. «L’idea, appena tornati da Pechino, è girare uno a uno i Comuni del Veneto e cercare anche rappresentanti che propongano il prodotto in tutta Italia: così, in un periodo in cui dicono che nessuno s’inventa più niente, potremo pure dare lavoro a giovani che magari fanno fatica. Poi, appena arriviamo a dieci ordini, iniziamo la produzione: entro due mesi facciamo le prime consegne». È l’unico prodotto, per ora, di GiocAssieme. «Ma stiamo studiando un altro gioco molto semplice. Perché a Milano abbiamo visto esposto di tutto e di più. Ma niente nel mondo dei parchi giochi. E quella dimensione è perfetta per educare a una cultura senza barriere».

di Matteo Sorio

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