Autismo e scuola: attenti al business di Sara De Carli

Un gruppo di insegnanti ci scrive a proposito del servizio su scuola e autismo. La terza via, per loro, è quella della scuola potenziata: gioverebbe ai ragazzi e ridimensionerebbe, tra l'altro, anche non rari fenomeni di puro business.

«Gentile redazione di VITA, siamo insegnanti, membri di una associazione di volontariato che coopera con docenti curricolari, insegnanti di sostegno, educatori che hanno la responsabilità educativa di allievi con disabilità intellettiva. Crediamo che la nostra esperienza “settoriale” possa essere estesa anche all’autismo, dal momento che, secondo le statistiche, circa il 75 % di coloro che manifestano questa forma di disagio mostrano anche disabilità intellettiva. Ci riferiamo all’articolo SCUOLA&AUTISMO. IN oppure OUT, pubblicato sul numero 8 della vostra rivista. Desidereremmo che prendeste in considerazione anche il nostro pensiero». Inizia così un dettagliato e corposo documento che gli insegnanti dell’Associazione élève onlus, di Bologna, hanno inviato in redazione: li ringraziamo e presentiamo in sintesi il loro intervento.

Il mito dell’inclusione. Alla domanda secca che ponevamo nel nostro servizio, cioè se per i ragazzi con autismo sia meglio una proposta dentro la scuola o fuori dalla scuola, gli insegnanti bolognesi aggiungono una terza opzione. A loro giudizio infatti il modello italiano si inclusione «può (forse) funzionare per studenti con disabilità intellettiva molto lieve, non certo per chi manifesta forme medie o gravi». L’idea della scuola inclusiva vanto dell’Italia è «un mito da sfatare», nel senso che «è sempre stato un vanto all’interno dell’Italia, come ideale condivisibile, proposta allettante, visto che nessuna seria indagine è seguita alla proposta iniziale per vedere se le cose funzionavano oppure no. È sempre stato un vanto (dunque a parole e non a verifiche) all’interno dell’Italia, ma non al di fuori. È esperienza di molti docenti che portavano (e portano) allievi in visite guidate all’estero, vedere e sentire di inclusioni molto diverse da quelle praticate in Italia». Citano l’esperienza di alcuni Länder tedeschi, che dopo avere sperimentato l’integrazione “all’italiana” sono velocemente ritornati sui propri passi. Oppure un’opinione molto vicina a quello di Theo Peters, citato nel nostro articolo: Eric Schopler (il fondatore del metodo TEACCH), che dice che «Quando sono venuto in Italia e mi hanno detto che qui si praticava l’inclusione totale, mi sono stupito e ho pensato: “Accidenti devono avere scoperto qualcosa che io non so! Quando poi ho potuto osservare come si lavorava nelle scuole, mi sono detto che se per inclusione s’intende semplicemente far sedere i bambini autistici nelle stesse classi degli altri, allora c’è qualcosa che non va».

La scuola non è un lungo summer camp Né si può paragonare le attività che si svolgono in un summer camp con le attività che si svolgono in una scuola: «oppure il dott. Mazzone pensa che si possa per tutto l’anno solare fare iniziative simili a quelle organizzate nella sua o in altre summer school? Può una scuola essere organizzata come un campo estivo, con un forte predominio di discipline “motorie” e “ludiche”? È un confronto che, sempre a nostro parere, non sta in piedi. Starebbe in piedi forse se ci avvicinassimo alla struttura descritta da Schopler e auspicata da Nicoletti o alla struttura di alcune scuole potenziate che sono riuscite a sopravvivere anche in Italia. Il ragazzo con disabilità intellettiva inserito nella scuola attuale (uno per classe o addirittura uno per scuola) mostra quasi sempre un ansia di prestazione estremamente nociva. Ansia che non avrà assolutamente il ragazzo inserito in un gruppo misto, in cui, insieme a tanti normotipici, vi sono altri ragazzi con la sua medesima disabilità».

La scuola potenziata contro il business che avanza La terza via che indicano gli insegnanti dell’associazione élève è quella della scuola potenziata, un’esperienza che si può raccontare sinteticamente come una scuola pubblica al cui interno c’è una sezione potenziata per alunni con disabilità Ne ho vista e raccontata una nel 2010, a Verdellino, in provincia di Bergamo (in allegato l’articolo di allora). «La scuola potenziata – scrivono oggi gli insegnanti bolognesi - almeno sulla carta, ridimensionerebbe anche il proliferare di altre agenzie educative (profit e non profit) sul territorio. Alcune con proposte valide, altre con proposte di scarso valore scientifico. In questo momento la scuola si sente quasi “assediata” da tanti enti che vogliono entrare per dare indicazioni e suggerimenti, non sempre tutti positivi, non sempre tutti fattibili. I genitori più facoltosi riescono a fare entrare negli istituti scolastici persone di loro fiducia e materiali anche costosi, creando antipatiche diseguaglianze fra allievi con le stesse problematiche. Altri genitori, accedendo a risorse economiche proprie propongono la “scuola parentale” o domiciliazione pedagogica, con risultati a volte molto buoni. […] Crediamo che verso tutte le iniziative a cui accennavamo più sopra i genitori debbano prestare particolare attenzione, e quando possibile si debbano documentare accuratamente, senza fidarsi troppo del “passaparola”. Non farebbe male una normativa che preveda “trasparenza” e certificazioni “autorevoli” anche in questo settore in cui si cominciano a intravvedere fenomeni non piccoli di “puro” business».

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