Asperger, l'importanza di dargli un nome. Tre storie di vita

 ROMA. Tre storie diverse, un denominatore comune: la sindrome di Asperger, più o meno manifesta all’inizio, poi ufficialmente dichiarata. Erika, Pietro e Marco raccontano la loro esperienza e il loro rapporto con il “disagio” ad Antonella Patete, per l’ichiesta pubblicata sul numero 6/2013 di SuperAbile Magazine, la rivista sulla disabilità edita dall’Inail.

Erika, mille impegni, un’unica battaglia. Tutto è cambiato tre estati fa quando finalmente il suo disagio ha trovato un nome. E non che fosse una che si rassegna a vivere la vita così com’è, senza cercare un senso, un indizio, una via di uscita alla sofferenza di sentirsi un pesce fuor d’acqua. Ma che il suo malessere dipendesse da una particolare sindrome contemplata nel ventaglio dello spettro autistico, Erika, 28 anni, romana, non lo aveva mai preso in considerazione. Neppure durante i numerosi anni di indagini e analisi in cui ha rivoltato la sua vita come un calzino. Alla fine la risposta è arrivata in maniera inaspettata: guardando un film che neppure voleva vedere perché le storie sentimentali non le sono mai andate troppo a genio. “Crazy in love di Petter Næss è la storia di un amore tra due persone con sindrome di Asperger – racconta –. Sono rimasta folgorata: più la storia andava avanti più trovavo analogie strepitose con la mia esperienza. Allora ho cercato su Wikipedia e via via che leggevo, come per incanto, i tasselli della mia vita si ricomponevano in un mosaico. Fino a quel momento avevo sempre vissuto in un limbo di interrogativi che non trovavano risposta: perché tutti mi giudicavano strana e finivano sempre col rifiutarmi?”.

Dal giorno in cui ha visto quel film Erika non si è fermata un solo istante. Per prima cosa ha cercato in rete notizie, associazioni e gruppi che potessero aiutarla. Poi ha trovato un studio diagnostico che ha confermato la sua idea: non era una persona eccentrica, aveva una diversa organizzazione neurologica, ovvero un diverso modo di catalogare e rielaborare le informazioni. “Una volta messi a posto i pezzi di questo mosaico, ho smesso di sentirmi in colpa e ho cominciato ad auto-curarmi, migliorando i comportamenti più problematici – spiega –. Poi ho iniziato a cercare altri Asperger sparsi per il mondo e ne ho trovati circa 500, che oggi fanno parte del mio gruppo Facebook”. Quello stesso anno Erika ha fondato un’associazione dal nome eloquente: Asperger Pride. Scopo dell’organizzazione, che per il momento è soprattutto una sorta di piazza virtuale in cui confrontarsi, è quello di attivare un sostegno reciproco tra giovani e adulti per superare i propri limiti. “In Italia mancava una realtà di self advocacy, attraverso la quale le persone con la sindrome possano autorappresentarsi”, spiega la sua fondatrice.

Ma l’associazione organizza anche momenti di svago e occasioni di conoscenza reciproca, come gli Asperitivi, pensati per favorire il lavoro di squadra e la socializzazione. Per il resto del tempo Erika si divide tra vita personale e lavoro. Abita da un’amica, fa la grafica freelance soprattutto ideando gadget e t-shirt, frequenta il Gruppo Asperger romano e collabora con la Trattoria sociale Articolo 14, allestita dalla cooperativa Garibaldi che realizza progetti di integrazione per gli studenti autistici all’interno dell’omonimo istituto agrario. Ma soprattutto Erika si dedica al volontariato: “Da quando ho conosciuto il mondo dell’associazionismo non posso più smettere, per me è come una droga”.

Pietro, una vita di corsa. Al principio furono le automobili: era poco più di un bambino e già trascorreva ore a leggere le schede tecniche di tutti i modelli in commercio e a seguire attentamente i risultati delle corse. Poi è arrivata la fase della matematica, con il fascino impeccabile della sua precisione e il suo rigore, scalzata qualche anno dopo dalla mania per l’informatica, assurta in poco tempo da passatempo secondario ad attrazione preponderante. Seduto sulle panche del cineclub Detour di Roma, Pietro, 41 anni (ritratto in queste pagine), racconta le grandi passioni della sua vita. Centri di attrazione che non possono essere liquidati come hobby, dal momento che la selettività degli interessi è tra le caratteristiche principali degli individui con sindrome di Asperger. “Posso trascorre anche 14 ore dinanzi a un computer”, confida Pietro che, dopo essere stato licenziato dall’azienda dove lavorava come sviluppatore di software al termine di un periodo di mobbing, da sei anni esercita in proprio la professione di consulente informatico.

Negli ultimi tempi però “una nuova passione si sta sostituendo a quella dell’informatica e forse l’ha già sostituita”. È l’impegno nel volontariato, a cui si dedica già dal 1998 all’interno di un’organizzazione che si occupa di diritti umani e che dal 2006, anno in cui ha ricevuto la diagnosi, ha assunto nuovi connotati. Perché ormai investe gran parte della sua giornata e delle sue energie a favore di chi, come lui, ha la sindrome di Asperger o rientra nello spettro autistico. “Sono vicepresidente del Gruppo Asperger onlus e da tre anni consigliere come self-advocate di Autism Europe, un’organizzazione che raggruppa oltre 80 associazioni provenienti da tutta l’Unione, rappresentando circa 5 milioni di cittadini con autismo”. Tra le battaglie di Pietro vi è dunque quella di aiutare altri a raggiungere condizioni di vita più soddisfacenti, a partire dalla conquista di una diagnosi, che anche nel suo caso è arrivata per caso e solo all’età di 35 anni. “Me ne sono reso conto leggendo la recensione di un libro di Uta Frith – ricorda –. Si diceva che le persone con autismo mancano di intuizione emotiva: questa frase mi ha colpito”. Da quel giorno Pietro si è messo alla faticosa ricerca della causa di tanti fatti, comportamenti, emozioni della sua vita. “Ho cominciato un percorso diagnostico complicato, passando dal medico di base alle psicologhe della Asl, che però non erano competenti in questo campo. Parlavano dei miei problemi e di come risolverli, mentre per me era fondamentale capire chi ero”.

Una volta ottenuto quello che cercava, Pietro ha cominciato a frequentare persone come lui. Trova utile guardare gli altri per comprendere meglio se stesso e ritiene suo dovere aiutare i più giovani a intraprendere un cammino più facile del suo. Tuttavia, ha deciso di non fare coming out: “È una cosa intima e personale – dice –. Voglio decidere io a chi spiegarlo, quando spiegarlo e come spiegarlo. In alcuni casi rivelarlo può dare vita a pregiudizi e discriminazioni, cosa che mi è già accaduta”. Oggi il problema principale di Pietro è riuscire a organizzare le numerose attività che porta avanti nel corso della giornata, rispettando tempi e impegni. Ma da due anni nella sua vita c’è posto anche per un passatempo vero: l’atletica leggera e soprattutto la corsa che pratica tre volte a settimana: “Mi dà sensazioni molto positive, è stato un vero piacere scoprirlo”.

Marco, la passione per il cinema. Nel piccolo cineclub Detour, nel quartiere romano di Monti, si svolge l’ultima proiezione della stagione organizzata in collaborazione con l’associazione Gruppo Asperger prima della chiusura estiva. Marco, 25 anni, studente di Lettere, musica e spettacolo, introduce la visione di Elling, film sull’esperienza di essere diversi diretto da quello stesso Petter Næss che in Crazy in love racconta la storia d’amore tra due Aspie. “Due regole semplici semplici prima di cominciare – avverte –: spegnete i cellulari e alzatevi solo per necessità”. Marco è una delle colonne portanti del piccolo gruppo di ragazzi con sindrome di Asperger che ogni due sabati frequenta il cineforum di via Urbana. È appassionato di cinema fin dall’età di dodici anni “quando ho cominciato a guardare con curiosità film di ogni genere, dalla commedia al thriller”. E già allora, malgrado la giovane età, non si limitava a seguire la trama: prima ha iniziato a incuriosirsi per tutto quello che si muoveva dietro la macchina da presa, poi ha esteso il suo interesse alla storia del cinema. “Amo tutti i generi, tranne l’horror – racconta –. Quando ero piccolo mi piaceva soprattutto Hitchcock, attualmente il mio regista preferito è Stanley Kubrick e tra gli italiani prediligo Virzì, Sorrentino e Moretti”. La sua ambizione è quella di riuscire a lavorare un giorno nel mondo dello spettacolo, grazie anche all’esperienza all’interno dei diversi progetti che il cinema Detour ha portato avanti con giovani con sindrome di Asperger negli ultimi cinque anni. E che Marco ha frequentato fin dalla prima ora: “Tutto è cominciato nel 2008 quando io e altri ragazzi del Gruppo Asperger abbiamo iniziato a seguire il cineforum. Nel 2009 abbiamo frequentato un laboratorio, da cui è nato un documentario sulla vita domenicale nel rione Monti, imparando a usare la telecamera e a fare le interviste. Poi abbiamo voluto gestire noi stessi il cineclub, documentando questa attività nel mediometraggio Lo sguardo degli Aspie”.

Dal successo di questo video, presentato al Festival Cimemautismo di Torino nel 2012, è nata la più ambiziosa delle esperienze: organizzare una propria rassegna, fatta tutta da persone con Asperger, che si è conclusa il 16 giugno al museo Maxxi di Roma con la visione e la premiazione delle opere vincitrici. Solo una delle due sezioni dell’As Film Festival è dedicata ad autori autistici o a opere che raccontano storie legate alle varie sfaccettature dello spettro. “La grande sorpresa è che abbiamo ricevuto circa cento film, molti dei quali di buono od ottimo livello”, commenta Giuseppe Cacace, coordinatore della rassegna e anima, insieme ai ragazzi con Asperger, di questa esperienza. Rinnovandosi a ogni edizione, attraverso nuove iniziative e nuova consapevolezza da parte del gruppo di giovani che frequentano il Detour. Che non si limitano più a seguire i film e le attività proposti da altri, ma rivendicano un ruolo da protagonisti proponendo le pellicole da vedere attraverso un tazebao online. E che oggi, dopo la proiezione dei film, preferiscono andare a mangiare una pizza piuttosto che fare il dibattito. Segno dell’inesorabile tramonto di vecchie abitudini culturali o della scoperta di un nuovo piacere di stare insieme agli altri. (Antonella Patete)

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