Accertamento della disabilità, presto si cambia

L'Osservatorio sulla disabilità ha approvato ieri il Piano d'azione biennale sulla disabilità, il primo per l'Italia. Al primo posto c'è la necessità di rivedere l'intero sistema di accertamento. «Un punto di non ritorno», dice Matilde Leonardi

Per la prima volta nella storia l’Italia ha un Piano d’Azione biennale per la promozione dei diritti delle persone con disabilità. Lo ha approvato ieri l’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità, un organismo previsto dalla Convenzione Onu, in carica dal 16 dicembre 2010. Si tratta a onor del vero di un documento che dovrà poi passare dal Consiglio dei Ministri e dalla Conferenza Unificata, per poi essere adottato come Decreto del Presidente della Repubblica, ma poiché all’Osservatorio (diversamente da quel che accade in analoghi soggetti di altri Paesi) sono già presenti tutti gli stakeholder coinvolti, l’agreement raggiunto ieri è senza dubbio un punto di non ritorno.

Il Programma d’azione nasce dal lavoro di sei gruppi di lavoro e segue l’analisi della situazione italiana fatta per monitorare l’attuazione della Convenzione ONU in Italia, dettagliato in un report inviato all’Onu a dicembre 2012. Sicuramente il Piano d’Azione parte da un nuovo approccio culturale: «Passando da un modello medico/individuale, che vedeva nelle persone con disabilità “dei malati e dei minorati”, a cui doveva essere garantita solo protezione sociale e cura, ad un modello biopsico- sociale della condizione di disabilità basata sul rispetto dei diritti umani, la CRPD valorizza le diversità umane – di genere, di orientamento sessuale, di cultura, di lingua, di condizione psico-fisica e così via – e rileva che la condizione di disabilità non deriva da qualità soggettive delle persone, bensì dalla relazione tra le caratteristiche delle persone e le modalità attraverso le quali la società organizza l’accesso ed il godimento di diritti, beni e servizi», dice la premessa.
Matilde Leonardi è la presidente del Comitato Tecnico Scientifico di questo Osservatorio e del traguardo raggiunto è «assolutamente orgogliosa».

Perché, in particolare?
Perché l’Osservatorio aveva due compiti: redigere il report per l’Onu e scrivere il Piano d’azione. Abbiamo fatto entrambe le cose e le abbiamo in tempi molto più brevi del previsto: era assolutamente importante per noi consegnare al nuovo Governo un lavoro finito. Il Governo che verrá, qualunque sarà, non potrà prescindere da questo importante lavoro. Poi si tratta di un Piano per il Paese, non per il Ministero della Salute o per quello del Welfare. Infine, ma importantissimo, è un documento che è stato ampiamente partecipato, condiviso e concordato.

Quali sono le novità?
Nello stendere il Piano ci siamo appoggiati sul monitoraggio effettuato per il report sulla Convenzione Onu, quindi la prima novità discende proprio dalla Convenzione Onu, che prevede che tutte le politiche e tutte le azioni vengano reimpostate sui diritti. Per questo l’elemento che attraversa tutto il Piano è la necessità di rivedere i criteri e i processi per l’accertamento e la certificazione della disabilità, una cosa che condiziona tutto il resto. Un secondo elemento trasversale è la necessità di raccogliere dati statistici in maniera più completa e organica, perché quelli che abbiamo adesso non consentono di fare una lettura compiuta della situazione. Le faccio un esempio: sappiamo con certezza quanti disabili lavorano, ma non sappiamo che percentuale siano, né quanti potrebbero lavorare ma non lavorano… è evidente che avere un quadro completo influenzerebbe l’approccio politico. Poi ci sono novità che derivano direttamente dalla Convenzione Onu, come la creazione di «PUA-Punti unici di accesso».

Piani nazionali in altri settori ce ne sono, ma poi restano quasi sempre dei libri dei sogni… Per esempio questo Piano ha o avrà un finanziamento?
No, le azioni indicate dovranno essere finanziate nel limite degli stanziamenti già previsti, rimodulando i soldi che già ci sono. Però di certo non sarà un libro dei sogni. Un elemento di forza è che diamo proposte e creaimo una cornice di riferimento per tutti i livelli di governance, andando a dettagliare – un po’ come fa il Piano Infanzia – azioni, obiettivi, interventi e soggetti coinvolti. Quello che abbiamo fatto è “operazionalizzare un diritto”. Mi spiego: alla persona disabile non interessa il diritto al lavoro, ma un lavoro: bene, noi abbiamo indicato i percorsi operativi per rendere questo diritto esigibile. Diciamo che abbiamo lavorato più sulla giustizia che sulla bontà. E comunque il fatto di aver raggiunto un agreement sulla necessità di riforma del sistema dell’invalidità è un grandissimo risultato, non era così scontato. Tutti i principi dell’ICF sono stati introdotti.

Quali sono le macro-aree su cui avete lavorato?
Il Piano d’Azione prevede sei aree di priorità: revisione del sistema di accesso, riconoscimento e certificazione della disabilità; lavoro e occupazione; vita indipendente; accessibilità; inclusione scolastica; salute, diritto alla vita, abilitazione e riabilitazione. In più c’è un settimo punto sulla cooperazione internazionale, in collaborazione con il Mae. Vorrei sottolineare ancora una cosa: il primo problema delle persone con disabilità oggi è la solitudine. È ovvio che la coesione sociale non si può imporre in un piano d’azione, però ogi volta che ci è stato possibile abbiamo messo a tema questo tema.

di Sara De Carli

Condividi su Facebook