Agricoltura sociale, la Liguria punta a colmare il suo ritardo

E' tra le regioni più arretrate, ma qualcosa sta cambiando dopo l'annuncio di una legge per la promozione. Aiab Liguria "Agricoltori e specialisti sentono la necessità di creare una rete comune". Oggi un seminario a Lavagna

GENOVA. In quanto a sviluppo dell’agricoltura sociale, la Liguria è tra le regioni italiane più arretrate. Ma qualcosa sta cambiando. Dopo l’intervento di Giovanni Barbagallo, assessore regionale all’agricoltura, che lo scorso 13 settembre ha annunciato la stesura di una legge per la promozione di questo tipo di attività, oggi a Lavagna (Ge) una decina di produttori liguri, le Asl, diverse cooperative sociali ed esperti del settore si riuniranno con l’intento di avviare nuovi progetti. “In alcune cooperative sono già in corso delle attività, soprattutto con persone disabili – spiega Sara Montoli, responsabile agricoltura sociale per l’Aiab (associazione italiana per l’agricoltura biologica) della Liguria – ma ora agricoltori e specialisti sentono la necessità di creare una rete comune tra le diverse realtà”. Il seminario “Agricoltura Sociale e Biologica. Opportunità, sostenibilità, inclusione sociale e lavorativa”, si terrà a partire dalle 14.30 a villa Grimaldi, con il patrocinio del comune di Lavagna e di Nè.

Una delle realtà liguri in cui si utilizza già l’agricoltura sociale come strumento di recupero e come occasione lavorativa, è la Villa Gritta di Cogorno (Ge). Nella comunità, che ospita dodici ragazzi con disabilità e storie di sofferenza, si realizzano attività agricole in convenzione con produttori della zona. “L’agricoltura sociale funziona perché può essere declinata in modi diversi a seconda delle necessità del soggetto: dalla pena alternativa al carcere alla riabilitazione di disabilità psico-fisiche” sottolinea Walter Conti, psichiatra e responsabile della struttura. Questo genere di attività, aggiunge, “sono molto attive in Europa e sono diffuse a macchia di leopardo anche in Italia”. Secondo lo specialista, che interverrà al seminario di, l’agricoltura sociale, essendo un tipo di pratica che “non esclude e nello stesso tempo permette di realizzare un obiettivo elevato, può oltretutto far risparmiare, rispetto a pratiche di mera accoglienza di persone disabili o disagiate ed essere un’occasione di sviluppo per le aziende agricole”.

Sull’intero territorio nazionale, si legge nel rapporto 2011 sull’agricoltura biologica, sono circa 700 i soggetti (tra comunità, cooperative, aziende vere e proprie, centri d’accoglienza e case famiglia), che hanno attivato progetti di agricoltura sociale. “Di queste 220 sono aziende bio sociali certificate che non svolgono soltanto attività terapeutiche” afferma Anna Ciaperoni, responsabile agricoltura sociale di Aiab. La maggior parte si trova nel Lazio (29), in Toscana e Sicilia (25), Emilia-Romagna (23), Lombardia (21) e Veneto (19) e il 32,2% lavora con persone con disabilità mentale, il 18,8% con disabilità fisica, mentre il 17,2% accoglie persone con dipendenze (10,7% tossicodipendenti e 6,5% alcol dipendenti). Inoltre il 9,3% delle strutture si occupa di minori e giovani a rischio e il 12,5% lavora con detenuti ed ex detenuti. Finora sei Regioni (Toscana, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Campania, Marche e Calabria) si sono dotate di leggi che regolamentino e promuovano l’agricoltura sociale, mentre in Sardegna, Lombardia e Lazio sono state presentate delle proposte di legge in merito. Quello che manca, sottolinea Ciaperoni, «è un quadro di riferimento nazionale».

di Ludovica Scaletti

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