Segnali di Autismo: di che si tratta e come comportarsi

Pochi mesi dopo l’inizio della prima classe della scuola primaria, le maestre di Alice hanno cominciato a sospettare che qualcosa non andasse per il verso giusto. La bimba si distraeva molto – a meno che non si parlasse di conigli, una sua grande passione – ma soprattutto non interagiva mai con i compagni, né durante le lezioni né all’intervallo, che spesso passava completamente da sola.

Estrema timidezza? Difficoltà di adattamento? Nel dubbio, le maestre hanno parlato con i genitori, suggerendo di sentire uno specialista.

Dopo qualche tentennamento i genitori hanno accolto l’invito e una serie di incontri successivi ha portato a concludere che Alice ha un disturbo dello spettro autistico. Ad alto funzionamento, cioè con capacità cognitive nella media, ma comunque tale da causare difficoltà relazionali.

È lo stesso disturbo di cui, in forma diversa e con manifestazioni più nette, soffre anche Paolo, otto anni, che la diagnosi l’ha ricevuta quando era ancora alla scuola dell’infanzia. Adesso anche lui è alla primaria, ma a differenza di Alice non parla, non riesce a seguire le lezioni neanche per poco, spesso urla, si colpisce, butta tutto all’aria. Alice e Paolo hanno lo stesso disturbo, ma vivono condizioni molto diverse, ponendo sfide diverse ai loro insegnanti.

PIÙ CHE AUTISMO, SPETTRO AUTISTICO

«Si parla di spettro proprio perché si tratta di un raggruppamento di condizioni cliniche anche molto diverse tra di loro, che hanno però alcuni aspetti in comune» spiega lo psichiatra Marco Bertelli, direttore scientifico del Centro ricerca e ambulatori della Fondazione San Sebastiano di Firenze e presidente della Società italiana per i disturbi del neurosviluppo. «Tra gli aspetti comuni vi sono in particolare le difficoltà nell’interazione sociale e nella comunicazione e le anomalie comportamentali, con atteggiamenti ripetitivi e stereotipati, in genere associati a una gamma ristretta di interessi e attività».

Inoltre possono esserci “iperestesie sensoriali”, cioè sensibilità molto accentuate a determinati stimoli: per qualcuno può essere la luce, per altri i suoni, oppure odori, colori, contatti. Ecco perché in presenza di stimoli che a noi sembrano normali i bambini con autismo possono diventare nervosi, irritabili, aggressivi: «Esattamente come diventeremmo tutti noi se fossimo obbligati a rimanere esposti a un suono, a una luce o a un contatto che riteniamo insopportabili».

Tra gli aspetti variabili del disturbo vi sono invece il linguaggio (a volte presente, altre assente) e le capacità cognitive, che possono essere normali (come nella sindrome di Asperger), molto carenti o, più raramente, sopra la media.

UN DISTURBO NEUROLOGICO

Sulle cause alla base di questo disturbo la comunità scientifica sostanzialmente concorda: messe da parte ipotesi fantasiose come quella delle madri “frigorifero”, cioè troppo fredde e insensibili ai bisogni del bambino, in voga negli anni Settanta, o fraudolente come la presunta associazione con i vaccini (una vera e propria bufala), oggi sappiamo che si tratta di un disturbo dello sviluppo neurologico di origine genetica.

In alcuni casi (una minoranza) il disturbo dipende da cause genetiche dirette, cioè da mutazioni in uno o più geni specifici. Altre volte, invece, l’assetto genetico è tale da predisporre al disturbo, in combinazione con altri fattori di rischio come un parto prematuro, particolari complicazioni durante la gravidanza o la nascita, esposizione in utero a certe sostanze tossiche e così via.

PRIMA ARRIVA LA DIAGNOSI, MEGLIO È

Un altro punto di accordo tra gli esperti è che prima si fa la diagnosi meglio è rispetto alle possibilità del bambino di migliorare le proprie abilità con interventi mirati. In genere la diagnosi viene formulata in età prescolare, anche se molto si sta facendo per anticiparla.

«Spesso sono i genitori ad accorgersi che c’è qualcosa che non va, oppure gli educatori del nido o della scuola d’infanzia» afferma lo psicologo Giuseppe Maurizio Arduino, responsabile del Centro autismo e sindrome di Asperger di Mondovì (Cuneo), membro del gruppo di lavoro dell’Istituto superiore di sanità sulle linee guida per il disturbo dello spettro autistico in bambini e adolescenti.

«Le aree alle quali prestare attenzione sono due: relazione sociale e comunicazione da una parte e comportamento dall’altra» sottolinea lo psicologo. Così può essere un campanello d’allarme il fatto che un bambino intorno ai 18-24 mesi non mostri alcun interesse sociale e dunque, per esempio, non tenga il contatto visivo, non risponda al suo nome, non usi i gesti per indicare quello che desidera, sembri vivere in un mondo tutto suo.

Oppure il fatto che non faccia giochi simbolici (il “far finta”) o che usi i giocattoli in modo meccanico e ripetitivo, per esempio facendo girare per ore le ruote di una macchinina.

«Quando si arriva alla primaria spesso la diagnosi c’è già» afferma Bertelli, riconoscendo però che casi come quello di Alice sono sempre possibili. «Può succedere che il disturbo venga scoperto più tardi se il bambino se la cava bene dal punto di vista delle capacità cognitive, del linguaggio, della comunicazione. Anche in queste circostanze, però, possono emergere delle difficoltà relazionali, anche perché via via che si cresce le richieste di interazione da parte del contesto diventano sempre più complesse e, soprattutto nel caso dei compagni, imprevedibili».

COME APPRENDE IL BAMBINO CON AUTISMO

Sul fronte dell’apprendimento la buona notizia è che, a differenza di quanto si pensava no a pochissimi decenni fa, i bambini con un disturbo dello spettro autistico possono imparare, «ovviamente raggiungendo obiettivi differenti a seconda delle condizioni biologiche dalle quali partono» precisa Arduino.

Così, per qualcuno l’obiettivo sarà raggiungere una minima autonomia di vita (vestirsi da solo, lavarsi da solo), per altri ottenere una laurea. «L’importante» aggiunge lo specialista «è che siano seguiti in modo adeguato».

Concretamente, significa che educatori e insegnanti dovrebbero disporre di una cassetta minima di attrezzi dalla quale attingere gli strumenti essenziali per il lavoro in classe. «Uno strumento fondamentale è sicuramente l’attenzione alla individualità di questi bambini (il che peraltro vale per tutti i bambini) e al loro pro lo sensoriale specifico» afferma Arduino. In pratica, si tratta di adattare il proprio comportamento alle peculiarità dell’alunno per trovare un primo punto d’incontro.

«Con un bambino che non sta mai fermo è inutile puntare subito a farlo stare seduto: meglio mettersi a correre un po’ con lui per poi invitarlo a fermarsi per un’attività veloce. Con un alunno molto sensibile ai suoni, invece, bisognerà preoccuparsi di usare un tono di voce basso e tranquillo» propone Arduino. Che ricorda come a volte basta pochissimo – il cambio di deodorante dell’insegnante di sostegno, se l’alunno è molto sensibile agli odori, o una luce diversa sul banco al passaggio all’ora legale, se è molto sensibile alla luce – per mandare in crisi un bambino con autismo che pure sembrava avere raggiunto un suo equilibrio.

Un altro strumento importante è una conoscenza minima di come apprende un bambino con autismo, visto che i meccanismi sono diversi rispetto a quelli di un bambino con sviluppo tipico. Per esempio, c’è meno propensione a imparare per imitazione dagli altri, a mantenere un’attenzione condivisa con l’insegnante e a seguire canali verbali. «Meglio puntare su modalità esperienziali o condivise» spiega lo psicologo.

PRATICHE EDUCATIVE EFFICACI

E ancora. Bisognerebbe avere qualche conoscenza anche sulla strutturazione degli ambienti: vari studi suggeriscono infatti che più lo spazio è contenuto, chiuso e con pochi stimoli esterni, più è facile che il bambino collabori. Lo stesso discorso vale per le pratiche educative considerate efficaci.

«Non mi riferisco tanto a metodi generali come i famosi Aba, Teacch o Denver, quanto a singole strategie da usare in modo mirato a seconda delle esigenze del bambino» spiega Arduino. Un esempio? «I cosiddetti prompt (guide, aiuti), che possono essere dati per aiutare lo svolgimento di un compito».

Supponiamo che il compito sia appoggiare dei cerchi su una serie di sagome: le prime volte si potrà aiutare il bambino guidandogli la mano o il polso (prompt fisico), poi mostrargli come fare(prompt dimostrativo), poi dargli solo indicazioni verbali o passare a uno schema visivo, in un percorso che poco alla volta guidi il bambino all’autonomia.

Un altro esempio può essere «la Task analysis (analisi del compito), cioè la suddivisione del compito in tante piccole attività da fare in sequenza, o il video modeling, in cui si mostrano filmati che presentano la sequenza precisa di azioni da compiere per raggiungere un obiettivo».

È chiaro che per disporre di questa cassetta di conoscenze e strumenti è richiesta un po’ di preparazione. Tra libri, corsi e convegni, le occasioni di approfondimento non mancano. Può venire in aiuto anche una piattaforma web del lavoro di Arduino, la Piattaforma integrata autismo (Pia) dell’Asl 1 di Cuneo, che raccoglie un elenco ragionato di risorse disponibili online anche su autismo e scuola.

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