Coltellate al figlio autistico, Nicoletti: ''Famiglia vive profondo senso di abbandono''

"Mancano interlocutori certi e informati, protocolli di abilitazione ufficializzati e applicati su tutto il territorio nazionale, le linee guida emanate due anni fa dall'Iss ancora non sono state tramutate in legge e nessuno sembra interessato a farlo".

PERUGIA. Cosa significa essere madre di un autistico in Italia, nel 2013. Su questo riflette, oggi, il giornalista Gianluca Nicoletti sulla Stampa: a caldo, nello stesso giorno in cui una madre a Città di Castello ha preso a coltellate (sette sulla schiena e quattro tra torace e addome usando un coltello da cucina, raccontano con raggelante dettaglio le cronache) il figlio autistico di 11 anni. “Non basta appigliarsi alla scarna formula da lancio d’agenzie che informa vagamente che la donna soffriva di depressione -, commenta Nicoletti – non è invece secondario il fatto che il bambino fosse autistico”. Da padre di un ragazzo autistico, il giornalista afferma di comprendere la depressione della madre, “anche se naturalmente non giustifico minimamente il suo gesto. Per una madre che viva in Italia non esistono, almeno al momento e per quello che io ho avuto modo di conoscere, molte situazioni altrettanto angosciose che dovere gestire un figlio autistico, alla soglia dell’adolescenza. Nel nostro paese l’approccio a una sindrome, che si pensa debba interessare (pare) seicentomila persone, è assolutamente irrazionale e superficiale. La dice lunga il fatto che siamo l’unico paese che ai convegni internazionali non sia in grado di fornire dati certi su quanti siano effettivamente gli autistici, quale sia il livello di soddisfazione delle famiglie che debbono gestirne un caso, quale sia il destino di questi ragazzi una volta maggiorenni”.

Una occasione, questo fatto drammatico, per “aprire una seria riflessione su quale sia il profondo senso di abbandono in cui si trova una famiglia che deve gestire un autistico, senza interlocutori certi e informati, senza che ci siano protocolli di abilitazione ufficializzati e applicati su tutto il territorio nazionale (le linee guida emanate due anni fa dall’Istituto superiore di sanità ancora non sono state tramutate in legge e nessuno sembra interessato concretamente a che questo avvenga)”. Al di là della tanto decantata “presa in carico” scritta su tutti i documenti e in bocca a tutti gli operatori di settore che magari la auspicano, resta dunque l’abbandono, la sensazione triste di camminare da soli. “In tutto questo resta, mellifluo e impalpabile, ma crudelmente lancinante, l’antico pregiudizio che le madri abbiano concrete responsabilità sulla disabilità del figlio. Pochi lo ammettono – dice Nicoletti raccontando di oscurantismo e ignoranza -, ma ancora viene chiesto a molte mamme di autistici se durante l’allattamento avessero guardato negli occhi il figlio. L’autismo in Italia, fatte salve alcune straordinarie eccellenze, è ancora istituzionalmente appannaggio di pressapochismo, ignoranza, superstizione. Il peso maggiore di un problema così esteso, che rappresenta statisticamente la prima causa di disabilità, grava sulle famiglie. Nuclei familiari che lentamente vanno in disfacimento – riflette Nicoletti -, dove le rofondo senso di abbandono in cui si trova una famiglia, che allo stesso tempo è il loro carceriere e il loro sorvegliato speciale”. Non che questo giustifica le coltellate, “ma serve a distribuire almeno la responsabilità di alcuni impazzimenti materni”.

 

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