Com´è triste una società che definisce "autistico" ogni bambino introverso

 La Repubblica del 13-02-2012 - Com´è triste una società che definisce "autistico" ogni bambino introverso

L´autore.
Lo scrittore racconta la sua storia: "Dissero che avevo la sindrome di Asperger ma non era vero".
"La diagnosi mi è stata fatta al liceo Se fosse arrivata prima non avrei mai fatto un libro".

BENJAMIN NUGENT

Alla fine degli anni Novanta, per un breve, inebriante periodo nella storia della diagnosi dei disturbi dello spettro autistico, ho sofferto di Sindrome di Asperger. C´è un video educativo girato in quegli anni, intitolato "Capire l´Asperger", in cui mi si vede: sono il ventenne aspirante modaiolo che indossa la maglia con il colletto e racconta della sua passione per la letteratura e di quanto nessuno lo capisse quando era in quinta elementare. Il filmato era un progetto di ricerca diretto da mia madre, una professoressa di psicologia specializzata in Asperger, e da una sua collega dello stesso dipartimento. Mi ritrae come un giovane che conduce un´esistenza ricca e piena, malgrado l´anomalia mentale di cui soffre.
"Capire l´Asperger" non era una truffa: tanto mia madre che la sua collega erano convinte che io soddisfacessi i criteri descritti nella quarta edizione del Manuale diagnostico delle malattie mentali, pubblicato dall´American Psychiatric Association. Il testo, che rimane ad oggi l´opera più autorevole a disposizione di terapisti, ospedali e compagnie assicurative americane, elenca i sintomi di coloro che soffrono di Sindrome di Asperger. E all´età di diciassette anni, anch´io fui considerato uno di loro.
Dimostravo una "compromissione qualitativa nell´interazione sociale", e in particolare l´"incapacità a sviluppare con i coetanei delle relazioni adeguate al livello di sviluppo" (avevo pochi amici) e la "mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone" (trascorrevo molto del mio tempo da solo, in camera, a leggere romanzi e ascoltare musica. Spesso, quando mi trovavo in compagni di altri ragazzi, mi sforzavo di parlare come il narratore di un romanzo di E. M. Forster per irritarli).
Manifestavo inoltre una fervida "dedizione per uno o più tipi di interessi stereotipati e ristretti, che risultano anomali o per intensità o per focalizzazione" (mandavo a memoria poesie e trascorrevo molto tempo suonando la chitarra e scrivendo poesie e romanzi terrificanti).
Una diagnosi psicologica solitamente si applica quando un individuo esibisce delle tendenze che inibiscono la sua capacità di condurre una vita felice e normale. E nel mio caso pare che stesse accadendo proprio questo. La mia media al liceo infatti sarebbe stata sicuramente più alta se fossi stato meno distratto dai libri e dalla musica. E se i miei interessi fossero stati più vari e mi avessero permesso di riuscire a raggiungere un minimo livello di competenza in qualche sport non avrei provocato la frustrazione e il disprezzo degli altri ragazzi durante l´ora di ginnastica e a ricreazione.
Finita l´università mi trasferii a New York City, dove divenni scrittore; incontrai persone che condividevano le mie stesse ossessioni e smisi di voler parlare come un narratore di Forster. Non apparivo più tanto goffo e non ero più isolato. Stando al manuale diagnostico, la Sindrome di Asperger è "un disturbo continuo, che dura tutta la vita". I miei sintomi invece erano spariti.
L´anno scorso ho pubblicato un romanzo di "realismo psicologico" cosa che mi ha richiesto di intuire i significati extra-verbali delle interazioni sociali e creare alcuni incontri tra persone fittizi dagli interessanti risvolti impliciti. Solitamente chi soffre di Sindrome di Asperger e di altri disordini dello spettro autistico fa fatica a cogliere riferimenti non verbali, e spesso predilige il tipo di pensiero associato agli scacchi e alla matematica: attività per le quali ho la stessa propensione che per il calcio. Tuttavia, il punto più debole dei criteri diagnostici che mi furono applicati è quello incentrato sull´assoluta inettitudine sociale di un bambino o un adolescente, tanto più se questi non è bravo negli sport, è un tipo nervoso o ha un aspetto strano. E anche nel caso sia estremamente percettivo rispetto all´interazione sociale.
Con il passare degli anni e il maturare della mia personalità adulta, mia madre capì che non soffrivo di Sindrome di Asperger, e si scusò profusamente per avermi fatto apparire nel suo video. Per molto tempo gliene ho voluto, e in alcuni casi, mi vergogno ad ammetterlo, le ho anche urlato. In seguito, dopo circa sette anni, l´ho perdonata perché le sue intenzioni erano nobili: desiderava educare i genitori e gli assistenti sociali su quel disturbo, e sconfiggere i pregiudizi che lo accompagnano. Mi domando cosa sarebbe accaduto se fossi nato cinque anni più tardi e avessi ricevuto la stessa diagnosi all´impressionabile età di dodici anni. Forse non avrei mai cercato di scrivere di interazioni sociali, perché mi sarebbe stato detto che ero costituzionalmente destinato a considerarle sconcertanti.
Gli autori della prossima edizione del manuale diagnostico, il D.S.M.-5, stanno pensando di limitare la definizione dello spettro autistico; tale scelta potrebbe ribaltare il drastico aumento delle diagnosi di Asperger a cui abbiamo assistito negli ultimi dieci o quindici anni. La notizia è stata accolta con sgomento da molti autorevoli psicologi, i quali temono che, mancando di soddisfare i nuovi e più stringenti criteri, i bambini e gli adolescenti che soffrono di leggeri casi di autismo possano vedersi negato l´aiuto di cui hanno bisogno.
Eppure, la mia esperienza non può essere un caso isolato: stando alla diagnostica vigente, qualsiasi ragazzo introverso, emarginato e amante della lettura potrebbe soffrire di Asperger. La definizione del disturbo dovrebbe essere resa più specifica. Certo, non voglio che chi soffre di un lieve caso di autismo debba rinunciare ai trattamenti necessari, ma nemmeno che uno psicologo scolastico possa farsi un´idea sbagliata su un adolescente impacciato e introverso.

(Traduzione di Marzia Porta)
© New Yor Times - La Repubblica

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