Autismo: il dramma è "dopo di noi"

“Che importa se non hai mai frequentato una scuola, se non conosci l’emozione di un esame o la gioia di un’assunzione al lavoro. Se non guidi la macchina, non voti, non contesti i programmi dei politici, non ti alleni in piscina, non hai una fidanzata, non hai il bancomat né il cellulare perché non sai neppure parlare. Tu sei la nostra sfida con qualsiasi metodo e impegno educativo che stimoli e recuperi, anche se a piccolissimi passi, le capacità latenti di autonomia che certamente sono in te”.
Parole di amore, di sofferenza, di vita, quella di una madre, Tilde Amore fondatrice e presidente di “Autismo Insieme” fondazione per il “dopo di noi” e insegnante di sostegno che, come tante altre, ha un figlio autistico adulto. Quante siano non possiamo dirlo. Ad oggi non esiste un dato sull’incidenza reale di questa malattia, un disturbo permanente dello sviluppo che compromette il funzionamento del cervello e si caratterizza con disturbi della comunicazione verbale e non verbale, del comportamento, dell’integrazione e della relazione, si manifesta nei primi tre anni e dura tutta la vita.
Secondo i dati presentati nel 2012 dall’Iss, l’Istituto superiore di sanità, colpisce oltre 10 bambini ogni 10mila e se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico la prevalenza supera i 40 casi ogni 10mila. Ma quanti sono gli over 18 colpiti da una patologia da cui non si guarisce? «Gli adulti con autismo vivono nella terra di nessuno – spiega Tilde –: le diagnosi di autismo dopo i 18 anni di età subiscono un crollo. Gli autistici in età adulta non vanno a scuola, non lavorano e sono orfani di sanità. Non possono farsi sentire e nessuno se ne accorge. Per loro mancano i riferimenti sanitari: non hanno più l’età per essere seguiti dai neuropsichiatri infantili e neppure gli psichiatri possono fare molto perché la loro è una diversa disabilità».
– Chi si occupa allora dell’adulto con autismo?
«Tutto questo vuoto produce un carico esorbitante che ricade sulle famiglie. È il dramma del diciottesimo anno di età, quando si trovano ad essere trattati come disabili generici. Per loro non esiste più nessuno specifico riferimento di servizi e in questo modo rischiano di perdere l’autonomia acquisita. Le nostre case si trasformano in piccoli manicomi, una sorta di prigionia in cui mentre i genitori sono agli arresti domiciliari, l’autistico va in crisi o viene messo a tacere con dosi di farmaci, comunque lesive alla salute, per sopperire alla carenza di servizi loro dedicati. Ci troviamo di fronte ad un rapporto biologicamente scorretto in cui i genitori hanno l’età da nonni e avrebbero loro stessi bisogno di cure e alleggerimento di responsabilità, ma di fatto devono subire un carico assistenziale troppo elevato».
– Quali sono le difficoltà del vivere quotidiano con un autistico?
«Tenerli in casa significa dover smontare i rubinetti, potrebbero aprirli e non essere in grado di chiuderli. Le porte non possono avere maniglie né chiavi, il rischio è che si chiudano dentro. Le maniglie dalle finestre vanno smontate, potrebbero affacciarsi e farsi male. Detersivi, candeggina e oggetti pericolosi vanno nascosti, rappresentano un rischio per loro. Le vacanze non so cosa siano; il cinema, le serate in compagnia di amici non le ricordo. Le notti insonni, la vita senza intervalli, senza domeniche non sono un problema. Il punto è che mentre mio figlio è diventato un uomo di 40 anni il tempo è passato anche per me. È l’invecchiamento progressivo dei genitori la vera preoccupazione. La difficoltà di sostenere il carico assistenziale a causa della progressiva perdita di energie e risorse che si deteriorano con il passare degli anni e che ci rende incapaci di dare al ragazzo disabile i giusti stimoli».
– Cosa manca perché la loro e la vostra quotidianità sia più semplice, più serena?
«Uno studio epidemiologico per anni ed età che consenta di censire le persone colpite da autismo, diagnosi specifiche e oltre i 18 anni perché non vengano trattati come disabili generici costretti a concludere la loro vita in istituti psichiatrici generalizzati. Un coordinamento tra pediatri, medici di famiglia e geriatri, dato che l’autistico può vivere fino a 100 anni. Siamo noi genitori a chiamare il medico di base per chiedere la ricetta indicando il calmante più adatto, a farli camminare tutta la notte perché passino le crisi dato che in ospedale vengono accolti in psichiatria, ma non sono pazienti psichiatrici né diversamente abili generici. Chiediamo un futuro che rispetti la dignità delle persone con autismo e delle loro famiglie. All’idea che mio figlio resterà solo, sono arrivata a pensare che me ne andrei serena se morisse 15 giorni prima di me. Una madre può arrivare al punto di pensare alla perdita del figlio con serenità?»
– La Fondazione “Autismo Insieme” sta ultimando la casa alloggio per il dopo di noi “La primula” nel Parco delle Colombare, a Verona. Di cosa si tratta?
«A Verona e in Veneto mancava una comunità-alloggio residenziale che potesse accogliere disabili adulti affetti da autismo e rimasti senza un valido sostegno famigliare. “La primula” è il nostro sogno, una struttura specifica gestita da personale qualificato che nasce nel rispetto della tipologia dell’autismo e delle sue espressioni, una vera e propria residenza che accoglierà circa 10 pazienti adulti. La casa sarà dotata di un centro occupazionale e offrirà varie proposte abilitative-educative. Sarà anche un polo culturale e di aggiornamento sull’autismo in cui troveranno spazio una biblioteca, un’emeroteca, una sala convegni e saranno organizzati corsi di formazione, incontri e approfondimenti per i genitori e per tutti gli interessati».

di Roberta Dini

 

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