Cervello di pulcino

Scoprire le basi innate del comportamento sociale. È l'obiettivo di un ambizioso progetto per capire e curare l'autismo Questo animaletto potrebbe avere per le neuroscienze cognitive la stessa importanza che il moscerino della frutta ha avuto per la genetica

di Giorgio Vallortigara

Da qualche tempo porto con me quando partecipo a una conferenza un piccolo oggetto, che mi presta mio figlio di otto anni. L'oggetto ha l'aspetto di un insetto un poco improbabile dal punto di vista zoologico, una sorta di bruco dal dorso crestato, con due antenne sul capo, che poggia su zampette dalla consistenza gommosa (ne avrete visti di simili nelle edicole; i bambini sembrano trovarli tanto più affascinanti tanto più ripugnanti sono le loro sembianze). Quando premo l'interruttore l'oggetto inizia a vibrare. Lo appoggio su una superficie solida e la vibrazione si trasmette alle zampette facendolo muovere lungo traiettorie imprevedibili, come una creatura curiosa ed errabonda. Da dove viene questa irresistibile impressione di "cosa vivente", di agente animato? Il tentativo di rispondere a questa domanda occupa gran parte del tempo e delle risorse (incluse quelle che adesso sono arrivate grazie a European Research Council) nel mio laboratorio al CIMeC di Rovereto, all'Università di Trento. I cervelli animali sembrano essere ben equipaggiati per rintracciare nell'ambiente segnali, anche esili, della presenza di "animità" (animacy). Riconoscere le altre entità animate e distinguerle dagli oggetti inerti, inanimati, è un'abilità importante perché i membri della propria e delle altre specie costituiscono per gli organismi categorie fondamentali, quali potenziali prede, predatori o partner sessuali. Studiare le basi neurali, molecolari e genetiche di quest'abilità è cruciale se vogliamo comprendere lo sviluppo umano tipico e atipico. Con i miei collaboratori stiamo impiegando il pulcino del pollo domestico come animale modello per studiare l'origine e la natura del rilevatore di animità nel cervello. Il pulcino appartiene alle specie precoci: subito dopo la schiusa lascia il nido e mostra un repertorio di comportamenti pressoché completo. Ciò ci consente di metterne alla prova il rilevatore di animità escludendo rigorosamente il ruolo delle esperienze pregresse. Un semplice esempio. Tutti conoscono l'imprinting, il fenomeno di rapido attaccamento sociale che i piccoli delle specie precoci manifestano nei riguardi del primo oggetto cospicuo che incontrino immediatamente dopo la schiusa. Qualsiasi oggetto, sia naturale (come una chioccia) sia artificiale (come una palletta colorata), può risultare efficace per indurre l'imprinting, specialmente se l'oggetto è in movimento. L'origine del movimento di un oggetto può però essere un indicatore della natura dell'oggetto stesso. Aristotele per primo ha argomentato che sono gli oggetti semoventi, quelli che si muovono di moto proprio, a essere animati; gli oggetti inerti si muovono solamente come effetto della spinta esercitata da un altro oggetto. Così se voi vedeste due oggetti che si muovono con simili traiettorie, uno dei quali però capace di auto-propulsione e l'altro invece messo in moto dall'urto con un altro oggetto, quale scegliereste come possibile partner sociale? I pulcini non hanno dubbi e preferiscono per l'imprinting gli oggetti semoventi. I pulcini non hanno percepito nulla del vasto mondo prima dell'incontro con i nostri mobili (rappresentati da fuggevoli macchie colorate sullo schermo dei computer del laboratorio): gli esperimenti sono condotti subito dopo la schiusa, quando gli animali hanno solo pochi istanti di vita. Risulta perciò agevole dedicarsi successivamente a isolare nei loro cervelli la circuiteria neuronale responsabile di questa sapienza innata. L'armamentario dei segnali che fungono da rivelatori di animità non si limita alla semovenza. Ve ne sono molti altri e non tutti probabilmente sono stati ancora individuati. Tra quelli noti vi è il moto biologico di uno stimolo, la cinematica che può essere rivelata da uno sciame di puntini luminosi, ciascuno collocato in corrispondenza di un'articolazione, che produce in un vertebrato un miscuglio di movimenti rigidi e non ben caratterizzabile da un punto di vista matematico. O, ancora, vi sono le facce. Pulcini di pollo e neonati della specie umana (il cui antenato comune può essere rintracciato circa 280 milioni di anni fa) condividono alla nascita la passione per un simulacro di volto, costituito da tre macchie ad alto contrasto disposte, dentro un ovale, nella foggia canonica di un triangolo a testa in giù. Badate, non si tratta ancora qui del riconoscimento dei volti individuali. Su questi sappiamo moltissimo. Sappiamo delle loro rappresentazioni corticali, nel giro fusiforme, delle specializzazioni emisferiche (per inciso, anche nel pulcino è l'emisfero cerebrale destro che risponde ai volti gallineschi familiari) e del ruolo che apprendimento ed esperienza giocano nella possibilità di farci riconoscere volti diversi. Qui stiamo parlando della preistoria della mente sociale. Dei meccanismi sottocorticali che, nei neonati umani e galliformi, dirigono l'attenzione dei piccoli su ciò che con maggiore probabilità potrebbe essere una faccia (di mamma, di chioccia: due occhi e una bocca/becco...). Se il simulacro presenta rapporti di contrasto invertiti, come nei negativi fotografici, con gli occhi che paiono tunnel di luce che s'immergono nel buio scuro dell'ovale, ogni preferenza viene meno, sia nei neonati sia nei pulcini (residuo probabile del fatto che nel mondo naturale la luce cade sugli oggetti dall'alto e non da sotto in su). Il cervello di un pulcino appena nato posto in acqua disloca un millilitro scarso di liquido. Nei momenti di maggiore ottimismo vagheggio che quest'animaletto possa diventare per le neuroscienze cognitive quello che Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta, è stato per la genetica. A qualche distanza dal mio laboratorio roveretano, al di là dell'oceano, un collega esplora cervelli che se posti in acqua dislocherebbero volumi decisamente maggiori, almeno un litro di liquido. La vita sociale dei possessori di questi cervelli, tuttavia, a differenza di quella dei miei pulcini, presenta al momento qualche problema. Si tratta di bambini affetti da patologie come l'autismo, nei quali alcuni aspetti di quei primitivi della mente che attengono al riconoscimento delle tracce di animità sembrano disfunzionali, forse del tutto assenti poiché probabilmente mancano certe istruzioni genetiche per la loro instanziazione nei cervelli. L'attenzione preferenziale per i moti biologici, condivisa da pulcini e neonati, è un precursore dei successivi aspetti dello sviluppo sociale, come l'abilità di percepire emozioni o di attribuire intenzioni agli altri. Ami Klin, a Yale, ha mostrato che bambini affetti da autismo di soli due anni evitano di orientarsi visivamente verso le forme canoniche del movimento biologico, preferendo invece prestare attenzione a quelle contingenze audio-visuali non sociali che sono ignorate dai bambini non autistici. L'esame di segnali ancor più primitivi di animità, come la semovenza o le traiettorie di movimento di segnali visivi semplici (come quelli veicolati dal bruco meccanico) potrebbe rivelare le prime avvisaglie della malattia ancor più precocemente, e le bestiole che abitano i nostri laboratori potrebbero insegnarci qualcosa sulla lunga via che dai geni porta alla costruzione compiuta delle menti sociali.

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