Il caregiver familiare e' "prestatore volontario di cura": ecco il testo unificato

Adottato in commissione Lavoro al Senato il testo unificato, che mette insieme i tre ddl, molto diversi tra loro. Il caregiver familiare è "prestatore volontario di cura". Giacobini (Handylex): "permane quel retropensiero non condivisibile secondo cui l'attività di caregiving vada incentivata poiché è una scelta volontaria e apprezzabile". 

ROMA. Dopo un altro lungo stop, torna a compiere un passo avanti la possibilità di una legge che tuteli i caregiver familiari italiani: le tre proposte che da gennaio 2017 giacevano in Commissione Lavoro al Senato, nella seduta di ieri sono state presentate come testo unificato. Lo fa sapere Carlo Giacobini su Handylex, chiarendo che “sarà questa la base su cui ora la Commissione procederà alla discussione”. Il testo è una sintesi di tre ddl, molto diversi tra loro: 2266 (Angioni), 2218 (Bignami) e ddl 2048 (De Pietro), che abbiamo già analizzato nel dettaglio.

Nel presentare il testo unificato, ieri, il relatore Pagano ha fatto una premessa significativa: “il testo proposto non comporta oneri aggiuntivi di finanza pubblica, perché orienta l’attività delle regioni e delle province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenza tra queste e lo Stato, e rimanda alla sessione di bilancio la quantificazione delle risorse che lo Stato destinerà a favore dei prestatori volontari di cura che sono identificati nel testo proposto”. Per Giacobini, siamo di fronte a “un testo che tenta di abbozzare una definizione di caregiver, che tratteggia possibili azioni di ambito regionale, che non attribuisce alcuna nova responsabilità allo Stato se non quella di definire i criteri di individuazione degli ‘assistiti’. Il resto (misure previdenziali, assistenziali individuali o di sistema …) è rinviato sine die. Un testo molto limitato, quindi, rispetto alle aspettative e comunque non privo di coni d’ombra definitori e applicativi”.

Ecco cosa prevede, nei 4 articoli di cui lo schema si compone.
Finalità. Obiettivo del testo è riconoscere “l’attività di cura non professionale e gratuita prestata nei confronti di persone che necessitano di assistenza a lungo termine a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, svolta nel contesto di relazioni affettive e familiari, ne riconosce il valore sociale ed economico connesso ai rilevanti vantaggi che trae l’intera collettività, la tutela al fine di conciliarla alle esigenze personali di vita sociale e lavorativa”. Una finalità “leggera”, potremmo dire, in cui scompare ogni riferimento alle carenze dello Stato e al ruolo di “vicario” che la famiglia è costretta spesso a ricoprire. Come scrive Giacobini, “in tale edulcorata premessa scompare l’evidenza che tale attività troppo spesso sussiste a causa dell’assenza o della limitazione di servizi di sostegno pubblici e accessibili alle famiglie, sia in forma diretta che indiretta. Da notare come già il primo articolo limiti pure il raggio di azione alla gravità delle menomazioni”.

Valorizzazione e sostegno dell’attività dei caregivers. L’articolo 2 contiene l’elenco dei compiti che Regioni e province autonome si assumono nei confronti dei caregiver familiari: “informazione puntuale ed esauriente”, “opportunità formative al fine di sviluppare maggiore consapevolezza rispetto al ruolo svolto”, “supporto psicologico”, “soluzioni condivise nelle situazioni di emergenza personale o assistenziale segnalate dal caregiver”, “interventi di sollievo, di emergenza o programmati, attraverso l’impiego di personale qualificato anche con sostituzioni temporanee da svolgere presso il suo domicilio”, “supporto di assistenza di base attraverso assistenti familiari o personali”, “supporto di reti solidali a integrazione dei servizi garantiti dalle reti istituzionali”, “gruppi di mutuo soccorso”, “consulenze e contributi per l’adattamento dell’ambiente domestico dell’assistito”, “domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito” ma “compatibilmente con la disponibilità del personale medico e l’organizzazione dei servizi sanitari”. Osserva Giacobini che in questo articolo “il relatore e chi l’ha supportato ha scelto, semplificandone di molto il disegno, la linea della proposta Angioni, cioè di orientamento alle Regioni che possono agire nei limiti di bilancio”, mentre “scompare dal testo unificato qualsiasi riferimento a tutela previdenziale, contributi figurativi, pensionamento anticipato, malattie professionali, infortuni e quant’altro, cioè le parti più appetibili e interessanti del Disegno di legge Bignami. 

Definizione di prestatore volontario di cura. Il terzo articolo introduce la figura del “prestatore volontario di cura”, ovvero “la persona che gratuitamente si prende cura del coniuge, di una delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e del convivente di fatto”, o di un familiare o affine entro il secondo grado che, “a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, è riconosciuto invalido civile al punto da necessitare assistenza globale e continua ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per almeno 54 ore settimanali, ivi inclusi i tempi di attesa e di vigilanza notturni”. Si precisa che l’assistito debba “prestare il proprio consenso nella scelta del suo Prestatore Volontario di Cura” e si chiarisce che “riconoscimento della qualifica di Prestatore Volontario di Cura preclude a tutti gli altri familiari lavoratori, fatta eccezione per i genitori, la facoltà di godere delle disposizioni di cui all’articolo 33 della legge n. 104 del 1992”. Quest’ultimo punto appare a Giacobini particolarmente critico, dal momento che “il riconoscimento della qualifica di Prestatore Volontario di Cura preclude a tutti gli altri familiari lavoratori, fatta eccezione per i genitori, la facoltà di godere delle disposizioni di cui all’articolo 33 della legge n. 104 del 1992, in relazione allo stesso assistito. Nella sostanza, se si ottiene il riconoscimento (parrebbe a prescindere da effettivi benefici economici o sociali) di Prestatore Volontario di Cura, nessun lavoratore dello stesso nucleo può accedere ai benefici dell’articolo 33 della legge 104/1992. Va ricordato che l’articolo in questione riguarda non solo i permessi, ma anche il divieto di trasferimento di sede di lavoro”.

In generale, nel decreto “permane quel retropensiero non condivisibile secondo cui l’attività di caregiving vada incentivata poiché è una scelta volontaria e apprezzabile – osserva Giacobini - Se in alcuni casi ciò corrisponde al vero, in moltissimi casi non è affatto una scelta, ma il risultato dell’assenza o della carenza di servizi territoriali sufficienti, adeguati, efficaci al sostegno delle persone e delle famiglie. Una condizione che colpisce - è utile ribadirlo - soprattutto le donne. In tal senso nei tre testi originali e ancor meno nello schema di testo unificato troppo poco o troppo timidamente si rilevano volontà di favorire un welfare (anche aziendale) che modifichi lo scenario attuale in modo consistente e in tempi certi”. Ora si attendono le reazioni di associazioni e famiglie, che con particolare apprensione seguono le vicende di questa norma. (cl)

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