Il Tar Lazio boccia il nuovo Isee: "Indennita' ai disabili non vanno contate"

Accolto in parte il ricorso presentato da gruppi di genitori di persone disabili: è illegittimo nella parte che prevede di inserire nel reddito anche pensioni e indennità percepite in ragione della disabilità accertata. Il governo dovrà cambiare la norma. I promotori: «Davide ha sconfitto Golia».

Il nuovo Isee, entrato in vigore il 1° gennaio scorso, è illegittimo laddove prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dal soggetto che vive in una situazione di accertata disabilità.
Si conclude con una vittoria – parziale ma significativa – il ricorso al Tar del Lazio presentato nell’aprile 2014 contro la presidenza del consiglio dei ministri da un cartello di organizzazioni composto essenzialmente da genitori di persone con disabilità intellettiva, riunite nell’Utim (Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva) e nell’associazione “Promozione Sociale”.
La prima sezione del Tribunale amministrativo regionale (sentenza 2458/2015) ha infatti giudicato fondato uno dei nove punti che erano stati avanzati con il ricorso e ha pertanto dichiarato in parte illegittimo il decreto con il quale il governo aveva il 5 dicembre 2013 approvato e poi pubblicato il nuovo regolamento dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), utilizzato per valutare la condizione di chi richiede prestazioni sociali agevolate o l’accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità.

Invalidità e accompagnamento non sono “reddito” ma “compensazioni”.
Ad essere stata bocciata è la parte che prevede di conteggiare, fra le altre, anche le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento nella nozione di reddito disponibile: si tratta – fra tutte le novità introdotte dalla nuova disciplina – di quella più criticata e osteggiata, e sulla quale si erano concentrate le proteste. «Il piccolo Davide ha fatto un occhio nero a Golia», esultano i promotori del ricorso. Con questo pronunciamento il governo sarà ora chiamato a modificare il decreto in modo che vengano rispettate le considerazioni espresse dal Tar.
Nel dettaglio, il collegio giudicante fa notare che con il nuovo Isee si è commesso l’errore di considerare come “reddito disponibile” anche quei proventi «che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie».
«Non è dato comprendere – scrive il Tar – per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni Inps alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05. Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. 201/2011, che proprio ai fini di revisione dell’Isee e della tutela della “disabilità”, è stato adottato».

Non basta introdurre deduzioni e detrazioni.
Il Tar rispedisce al mittente anche la controdeduzione, avanzata dall’Avvocatura dello stato in rappresentanza di Palazzo Chigi, secondo cui la presenza di quelle voci di reddito sarebbe «in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso decreto di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina»: tale tesi non è accolta intanto perché «non è dimostrato che le compensazioni siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito» e poi perché essa «non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e franchige su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato».

Serve più precisione nel far emergere le “ricchezze” nascoste al fisco.
Il riferimento è qui è al fatto che la necessità per cui c'è stata una modifica dell’Isee, così come il legislatore l’aveva indicata, era quella di superare quelle situazioni «ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione Irpef». Secondo il Tar dovevano essere considerati, ad esempio, «i redditi prodotti e tassati all’estero, le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato esteri (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente Irpef, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli» e così via.
Insomma, l’obiettivo del nuovo Isee doveva essere quello di far emergere situazioni di “ricchezza” che rimanevano nascoste al precedente calcolo Isee. Il governo però, nel predisporre il nuovo Isee, non ha differenziato le varie tipologie di contributi, ma ha inserito nel nuovo calcolo tutti i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, ivi incluse dunque anche le indennità e le pensioni percepite sulla base di una condizione di disabilità. Di questa disposizione il Tar sottolinea ora la “genericità e l’ampiezza”, affermando che essa dovrà essere «rimodulata valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario».

Respinti gli altri ricorsi.
Sono stati invece ritenuti infondati gli altri otto punti del ricorso, che lamentavano fra gli altri la vaghezza e indeterminatezza dell’intero provvedimento, la sua approvazione fuori tempo massimo, la presenza di criteri “alternativi” su base regionale, il conteggio sull’intero nucleo familiare anche in caso di ricovero del disabile in strutture residenziali diurne o continuative, l’impossibilità di limitare al nucleo ai soli figli conviventi, l’utilizzo del valore catastale Imu per valutare il patrimonio immobiliare, la mancata previsione di una revisione e un aggiornamento delle franchigie e delle detrazioni. In particolare su quest’ultimo punto il Tar evidenzia che anche se la normativa non lo prevede espressamente, non c’è nessuna esclusione a che ciò possa avvenire, «sia su impulso dell’amministrazione che delle parti sociali interessate».

 

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