"Studiamo l'autismo col movimento"

l’intervista

La genetica dell’autismo è molto complessa, molto più di quello che si prospettava », ammette il fisiologo Flavio Keller, responsabile del laboratorio di Neuroscienze dello sviluppo dell’Università Campus Bio-medico di Roma. Ma per una corretta diagnosi la ricerca apre nuovi spiragli: «Dall’osservazione della motricità si potrebbe arrivare a individuare segni precoci».
Sulle cause dell’autismo c’è un ventaglio fin troppo ampio di ipotesi...
Da uno studio pubblicato su Nature nel novembre 2014 emerge che ci sono addirittura più di 100 geni differenti che potrebbero essere implicati nell’insorgenza dell’autismo. Certamente, tra le cause note le mutazioni che colpiscono singoli geni spiegano solo una piccolissima parte del totale dei casi. La grande maggioranza sono invece riconducibili a piccole variazioni genetiche, che agiscono 'a cascata' sull’espressione di molti altri geni, e quindi sono molto difficili da analizzare.

A che punto è il lavoro dei ricercatori?
Bisogna fare un passo in avanti, essenziale per capire la relazione tra le mutazioni genetiche riscontrate nei pazienti e i loro effetti biochimici, neurofisiologici, comportamentali. Occorre indagare in sostanza sul rapporto tra genotipo, ossia la costituzione genetica, e fenotipo, vale a dire le caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo. È un’importante sfida del futuro per la comprensione dell’autismo e di altre patologie
Nel rompicapo delle possibili cause, al Campus Bio-medico di Roma ci si sta concentrando sul ritardo nello sviluppo motorio dei bambini, segnale di un possibile rischio. È la pista oggi seguita dal neuroscienziato Flavio Keller
del comportamento.

Esistono sintomi che indirizzano verso una corretta diagnosi?
Oggi la ricerca si sta concentrando su sintomi che insorgono precocemente nell’età evolutiva. È uno dei settori su cui stiamo lavorando al Campus Bio-medico in collaborazione con altri centri. I bambini con comportamento autistico mostrano un ritardo dello sviluppo motorio, sia per quanto riguarda il controllo posturale – ad esempio quando raggiungono l’abilità di stare seduti, oppure cominciano a mettersi in piedi – sia per la motricità fine, ossia in che modo utilizzano le mani.

Possono essere considerati segnali certi?
In relazione all’autismo per il momento possiamo parlare di ipotesi. L’idea è che un bambino che ha delle alterazioni motorie ha meno opportunità poi di interagire con l’ambiente. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un recupero dell’unità tra percezione e azione, che porta a considerare la motricità non come semplice corredo di comandi ai muscoli che il cervello elabora a partire dall’informazione ricevuta dagli organi di senso ma proprio come condizione affinché il cervello possa ricevere ed elaborare informazioni dal mondo. Al Campus l’idea è di inserire sensori di movimento che permettono di quantificare la motricità del bambino, ad esempio per vedere come muove la mano, oltre a sensori nell’oggetto che manipola.

È una strumentazione diagnostica accessibile a tutti?
In un futuro non immediato queste tecnologie potrebbero essere messe a disposizione di pediatri e logopedisti per analizzare in maniera più precisa e quantitativa le caratteristiche motorie dei bambini. Si tratta di tecnologie poco costose, oltre che molto piccole e leggere, che permettono di analizzare il comportamento motorio in condizioni ecologiche. Ci vorranno però ancora anni per passare all’utilizzo clinico.

Come si può intervenire dopo la diagnosi?
Dipende dalla gravità dei casi. Ogni bambino è differente. Un approccio multidisciplinare, che prevede oltre al trattamento farmacologico anche interventi sugli aspetti più compromessi, quali ad esempio il linguaggio e la capacità di riconoscere le emozioni nelle altre persone, è probabilmente il più appropriato. Quanto più c’è una tempestività di intervento, tanto più si raggiungono miglioramenti significativi. Rispetto a 20 anni fa i risultati oggi sono notevoli.

di Graziella Melina

 

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