Evoluzioni scolastiche Oltre il "sostegno" La didattica inclusiva

Dario Ianes, docente di pedagogia e didattica speciale all'Università di Bolzano, vuole «rottamare» i 110 mila insegnanti di sostegno presenti nella scuola italiana. E lo fa in maniera scientifica, argomentata, attraverso le pagine della sua ultima pubblicazione, uscita in queste settimane per i tipi della Erickson di Trento.
Il volume - dove l'autore intende «discutere seriamente ed onestamente» di integrazione scolastica - s'intitola «L'evoluzione dell'insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva» (160 pagine, 17 euro) e contiene le istruzione per far compiere alla scuola quel salto di qualità che merita, perché, scrive l'autore, «a quasi quarant'anni dalla sua introduzione, l'insegnante di sostegno sta vivendo una fase di grande insoddisfazione, assieme a quella di molte famiglie di alunni con disabilità».
Quella di Ianes, naturalmente, non è una tesi che va contro i diritti sindacali di un categoria, come quella degli insegnanti di sostegno, articolata in «figure professionali che hanno svolto un ruolo cruciale nell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità».
L'intenzione dell'autore è quella di far uscire la scuola da una situazione di stallo. In questo senso, Ianes propone una soluzione radicale: superare la figura professionale «speciale» dell'insegnante di sostegno com'è oggi, trasformandola radicalmente.

I n un certo senso promuovendola e facendola diventare la protagonista di una scuola più inclusiva: «l'integrazione vera, buona, è piena partecipazione alla normalità del fare scuola nel gruppo "normale" dei coetanei, in una classe "normale", in una scuola "normale", con attività di tutti».
Questi cambiamenti sul versante degli insegnanti curriculari non solo «produrranno un aumento delle ore di insegnamento, ma tramite le compresenze consentiranno di attivare molte altre risorse latenti. (…) Gli insegnanti specialistici, da parte loro, dovranno rendere sempre più competenti i contesti nomali e cioè gli insegnati curriculari e le ordinarie attività didattiche, investendo risorse di competenza metodologica e di formazione».
Questo perché una scuola inclusiva ha bisogno di più docenti «normali» in compresenza, di organico funzionale e di «peer tutor», ovvero «insegnanti specializzati esperti itineranti che aiutino in modo concreto i colleghi curriculari». Un modo per far diventare l'intero corpo docente il «vero protagonista responsabile dell'integrazione, senza più doverla delegare a qualcun altro».
Scrive l'autore: «Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri, prima di tutto perché valgo come gli altri (ho gli stessi diritti). Voglio fare come gli altri perché ho un bisogno profondo di valore e di normalità. Fare come (e con) gli altri è un valore intrinseco della persona, un valore in sé assoluto, ma fare assieme agli altri vale anche come strumento di sviluppo e di apprendimento. Io, alunno con disabilità, voglio fare come gli altri anche per voi, per gli altri che stanno intorno a me, per la coesione e la crescita del nostro gruppo, a cui sento di appartenere».
Una sfida, oggi, ancora tutta da affrontare ed impellente perché, scrive Ianes, «gli alunni con disabilità, le loro famiglie e gli insegnanti di sostegno (e ovviamente la scuola tutta) non si meritano una progressiva perdita di qualità dei processi di integrazione».

N el libro l'autore discute alcuni obiettivi: il primo è una «socialità intesa come partecipazione sociale, senso di appartenenza e identità sociale»; il secondo è la valorizzazione dell'«apprendimento delle competenze»: il terzo è un «arricchimento di tutti gli alunni della classe»; segue una «collaborazione e sostegno alla famiglia dell'alunno con disabilità»; poi, promuovere «uno sviluppo professionale e umano delle varie figure che operano nella scuola e miglioramento organizzativo dell'istruzione»; infine, la «crescita culturale e politica diffusa rispetto alle differenze».
Ianes conclude con una metafora efficace: «Una didattica di classe standard, uguale per tutti, rigida, è come una parete di granito, liscia, sulla quale a fatica si applicano i Piani educativi individualizzati, come corpi estranei che facilmente scivoleranno via rigettati. Il granito è poco inclusivo. La dolomia è una roccia più lavorata, piena di buchi, fessure, anfratti, rientranze e terrazzini, dove possono trovare posto molte differenziazioni, molte proposte diverse. Una roccia sempre diversa, mutevole e ospitale, come una buona didattica inclusiva, quella verso la quale cerchiamo di andare».

di Alessandro Franceschini

 

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